venerdì 31 luglio 2015

AFORISMI E RIFLESSIONI

AFORISMI E RIFLESSIONI

CULTURA D'ESTATE 54


Dicevo, proseguiamo la nostra rassegna.

1) Il caso è un grandissimo artista.
HONORE' DE BALZAC

Lo sappiamo che alcune opere d'arte sono strane. Ma oramai siamo giunti al Cultura d'estate 54, abbiamo anni di vita alle spalle e anni di vita davanti, perché sprecarci con commenti così semplici e scontati, e soprattutto, ora, all'aforismi e riflessioni episodio non mi ricordo è ripetitivo dire queste cose.
Tuttavia questo semplice commento ci aiuta a comprendere la frase di De Balzac.
Alcune delle opere d'arte che esistono non le crea l'uomo, bensì la natura. Pensate a questa realtà in cui viviamo, completamente creata, e non da noi. Poi pensate al resto: una cascata in mezo al bosco: se non è un'opera d'arte quella!
La natura non funziona sempre a caso, ha dei princcipi, ma dato che questi sono sempre giusti, per non fare qualcosa di macchinoso, utilizza anche il caso.
Sempre nelle opere d'arte c'è il nonsense, utilizzato sia in pittura che in poesia(Pensate all'arte moderna e ai limerick), cose che sono generalmente apprezzate. O ancora pensate alla metasemantica. Qui le parole non sono dette propriamente a caso, tuttavia non hanno un senso, vogliono solo parere in italiano. Vi incollo il Lonfo.

Il lonfo

Il Lonfo non vaterca né gluisce
e molto raramente barigatta,
ma quando soffia il bego a bisce bisce
sdilenca un poco e gnagio s'archipatta.
E' frusco il Lonfo! E' pieno di lupigna
arrafferia malversa e sofolenta!
Se cionfi ti sbiduglia e ti arrupigna
se lugri ti botalla e ti criventa.
Eppure il vecchio Lonfo ammargelluto
che bete e zugghia e fonca nei trombazzi
fa lègica busìa, fa gisbuto;
e quasi quasi in segno di sberdazzi
gli affarferesti un gniffo. Ma lui zuto
t' alloppa, ti sbernecchia; e tu l'accazzi.
Fosco Maraini

E, dato che ormai la frase l'abbiamo spiegata e dobbiamo parlare di cultura, vi parlo brevemente di un film che, dunque, consiglio a tutti: i Quattrocento Colpi. 
Film francese, in bianco e nero, Parigi, 1959, protagonisti
due ragazzini la cui voglia di studiare va diminuendo grazie
a persone che sbagliano nella loro educazione. Nel film 
compaiono riferimenti al nostro autore di oggi: Honorè De
Balzac: guardatelo e non ve ne pentirete.

2)L'artista, che mira alla perfezione in tutto, in nulla la
raggiunge.
E. Delacroix

Personalmente non ho ancora capito se considerarmi d'
accordo con la presente citazione o dissentire. Voi che ne 
pensate? Scrivetemelo in un commento! A proposito, già
che ci siamo vi avverto che per questo blog volevo cambiare
piattaforma e passare a wordpress, che fa più pubblicità per
i miei lettori, dato che ora ne ho talmente pochi che non vale
la pena di continuare(Se non mi fossi imposto come sfida per 
tutta l'estate di pubblicare almeno un articolo al giorno).
Dunque intanto iniziavo a farvelo sapere, ma poi ci sarà il 
comunicato ufficioso quando il blog l'altro sarà in grado
di accogliere i miei articoli.
Ok, penso di avervi detto tutto. Per oggi aspetto la vostra 
interpretazione. Penso che non ci sia nulla di male nel non
sapere se una cosa sia giusta o sbagliata, perché nella 
maggior parte dei casi significa apertura mentale, dunque
accetto anche questa come risposta. Per farvi capire: un mio 
amico, che è una persona molto intelligente, non sapeva
riconoscere la differenza tra il bene e il male. Questo a lui ha
apportato diversi problemi, ma per queste cose io lo stimavo.

giovedì 30 luglio 2015

AFORISMI E RIFLESSIONI

CULTURA D'ESTATE 53

AFORISMI E RIFLESSIONI

1) Il lavoro creativo è sospeso tra la memoria e l'oblio.
Jorge Luis Borges

Ce lo hanno detto tante volte che comportarsi da bambini è la cosa migliore per rimanerlo. Loro sono buoni e sono puri, e che dire se è così punto e basta? Loro hanno molta creatività, certo, non possono usarla per scrivere un romanzo, ma pensa uno scrittore che fa il bambino, ovvero è alla scoperta di un nuovo mondo. No, non questo mondo, un altro, che la sua fantasia ha creato.
Tentiamo di rimanere bambini con la nostra memoria, se ciò cadrà nell'oblio, e il nostro lavoro è sempre lì sospeso, prima più di qua, poi più di là, allora non si potrà creare un'opera d'arte come un romanzo.

2) L'arte deve disturbare, la scienza deve rassicurare.
G. Braque

Si sa, il mondo non è sicuro. Dunque dobbiamo scegliere, vivere nelle incertezze o rinchiudersi in una piramide di vetro con tanti concetti dedotti da invenzioni lì scolpiti?
Forse non sono stato ancora abbastanza chiaro.
L'arte è quella, limpida, lampante, certo, solo se è vera, e per essere vera, l'abbiamo dedotto tante volte, deve essere anche bella, allora non sarà vera, ma Vera, perché originale e unica opera in rappresentanza di tale verità derivata da tale beltà.
Tutto qua.
La scienza invece tenta di comprendere questo mondo perché non ne vede altri(Neppure quelli creati dalla mente!), e di lì deduce affermazioni, potenzialmente vere, e probabilmente lo sono anche, ma non è tutto lì.
Dunque possiamo capire che l'arte è un modo di vedere le cose più completo.
E se dalla frase sembra che l'arte sia più negativa rispetto alla scienza, non è così.
Mi spiego: se la scienza ci rassicura e ci dice che dopo la morte non c'è più vita, noi ci mettiamo l'anima in pace e via. Se l'arte lascia qualche spiraglio di speranza, e, secondo quel vecchio mito greco(Quanti di voi se lo ricordano?) la speranza è sempre l'ultima a morire. Dunque, già solo per questo, l'arte è più completa, e più bella: benché ci faccia vivere nel dubbio, ci dà una speranza.

mercoledì 29 luglio 2015

AFORISMI E RIFLESSIONI

AFORISMI E RIFLESSIONI

CULTURA D'ESTATE 52

Post un po' in anticipo con gli orari, ma spero non vi scandalizzerete. Guardate che non mi sono dimenticato del cultura d'estate 50, il problema è che i tempi di realizzazione dello stesso si sono drammaticamente allungati. Arriverà il prima possibile.
Iniziamo!

1) E io rimango in forse, ché no e sì, nel capo mi tenciona.
DANTE ALIGHIERI

Lui rimane in forse. E noi? Direi pure, dato che in pochi si possono considerare più grandi di Dante. Ebbene, scusate se me ne tiro fuori con questo breve commento ma il forse c'è sempre, in quanto una risposta assoluta esiste solo a livello ideale e non a livello reale. Dante, dopo la commedia, voleva analizzare un po' di realtà, ma questo non significa che la realtà sia più importante dell'ideale.
Cito, per farla breve, Allan Poe(Eh sì, lui mi aiuta sempre a spiegare le cose):
IT IS BY NO MEANS AN IRRATIONAL FANCY THAT, IN A FUTURE EXISTENCE, WE SHALL LOOK UPON WHAT WE THINK OUR PRESENT EXISTENCE, AS A DREAM

2)Due cose riempiono l'animo con sempre nuovo e crescente stupore e venerazione, quanto più spesso e accuratamente la riflessione, se ne occupa: il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me.
IMMANUEL KANT

Ebbene, ancora torniamo su questo grande filosofo.
Questa frase ha anche un estro di artistico, Poe direbbe che è vera in quanto la bellezza è, di fatto, Verità, i fatti lo dimostrano.
E cosa riempie l'animo, ovvero dà la benzina al nostro animo, che tiene su questo scheletro di 208 ossa e la carne che lo circonda?
Che cosa l'empie con stupore e venerazione?
Il cielo stellato è uno dei due, ed è un probabilissimo riferimento a Dio, in quanto prima si parla anche di venerazione e di riflessione(Quanto più spesso ed accuratamente), artisticamente ed idealmente si colloca il cielo sopra di sé, come qualcosa di non controllabile, sebbene sia cibo per lo spirito.
La legge morale in me è stata una tirata meravigliosa agli altri filosofi dell'epoca e passati, e forse anche un monito ai futuri, che non si approvino a modificare quanto da Kant teorizzato. La legge morale dunque è ad altezza d'uomo, o meglio di filosofo, forse perché appunto, Kant, con la sua legge morale, considera l'uomo un filosofo, anche se, alla fine, non è sempre così, quindi anche qui si parla di ideale. Ma, come già detto, cos'ha di meno l'ideale rispetto al reale?

martedì 28 luglio 2015

CULTURA D'ESTATE 51

AFORISMI E RIFLESSIONI

CULTURA D'ESTATE 51

Un poco in ritardo con gli orari, ma meglio tardi che mai.
Anche oggi si riflette. E rifletteremo ancora per qualche giorno consecutivo, di modo da chiudere definitivamente la catena, almeno per quest'estate.

1) Non fidarti troppo del colore delle cose.
VIRGILIO

Non mi piace molto analizzare le cose in chiave scientifica, ma questa volta, a mio avviso, può aiutarci nella comprensione.
Pensiamo al colore di una mela. E' rossa, perlomeno nel caso che sto analizzando io. Il suo vero colore è il rosso? No, ma la luce, quando la colpisce ne assorbe tutti i colori tranne proprio il rosso. Quest'ultimo viene respinto ed è proprio quello che arriva al nostro occhio e ci fa capire che quella mela è rossa nonostante ella sia tutto fuorché rosso.
Alla stessa maniera tante cose nella vita potranno sembrarci rosse, quando in realtà non lo sono o addirittura sono la negazione del rosso, il respingimento del rosso, quindi, ci consiglia Virgilio, stiamo attenti e non fidiamoci.
Poi, se segui cultura d'estate da un po' di tempo saprai benissimo la citazione che comunque voglio fare in quanto inerente a questa e contenente, lo ribadisco ancora una volta, tutto quanto concerne l'argomento. La frase è quella di Allan Poe: "Credete a una metà di ciò che sentite e a nulla di ciò che vedete".


2)In generale è meglio che sia lo straniero ad adattarsi alla città.
EURIPEDE

Certo, penserete, lo straniero è un esterno e quindi deve rispettare le leggi della città in cui esso viene a vivere. Ma non è così semplice, soprattutto perché questa versione non comprende la parte "In generale", cioè le eccezioni di quanto affermato dopo codesta espressione.
Dunque, se lo straniero si adatta alla città è perché i cittadini non sarebbero d'accordo in quanto moltitudine ad adattarsi alle abitudini e alle consuetudini del singolo, e ciò comporterebbe caos e confusione in quella città, con rivolte varie cui i cittadini sono sempre pronti, dai tempi di Euripede fino ai nostri.
Pensiamo anche che, IN GENERALE, se uno straniero giunge in una città è perché entro trova che ci sia una civiltà sana. In caso la civiltà fosse malata e lo straniero provenisse da un posto giusto, allora quella è l'eccezione: la città deve adattarsi allo straniero.
Il problema è che non è sempre così facile distinguere le eccezioni, e non solo in questo caso. Per questo che nella vita bisogna sempre fare la massima attenzione a quanto accade intorno a noi e non dobbiamo farci sfuggire nulla. Quando una cosa non è più sotto il nostro controllo diventa automaticamente pericolosa, perlomeno per noi lo sarà.

lunedì 27 luglio 2015

SULL'ETICA

SULL'ETICA

CULTURA D'ESTATE 50

Buongiorno a tutti! Ieri ho pubblicato uno dei miei post più utili, esterni ma interni al cultura d'estate, era un po' un 49 bis. Molti di voi non se l'aspettavano e ho ricevuto pochissime visualizzazioni. Spero davvero che ve lo andiate a  recuperare perché vi sarà utilissimo, con ogni probabilità. In pratica è solo un consiglio, ma è da applicare.
Oggi invece mi scuso, ma il post arriverà verso sera, dico quello vero e proprio, questo è un prequel. Nel senso che vi incollerò un mio saggio, che però devo ancora ultimare. Indicativamente questo arriverà verso le ore 18, per cui:  tutti pronti verso quell'ora lì!


domenica 26 luglio 2015

IL SEGRETO DI UN GRANDE

IL SEGRETO DI UN GRANDE

Cultura d'estate o no, prima di tutto serve esser capaci a fare le cose. Ecco una articolo esterno, forse l'unico, forse no, chissà.
Prendete
QUESTO VIDEO
contiene il segreto di un grande e che dovrebbe essere sfruttato da tutti noi.
Comprendetene la grandezza e la profondità, nonché tatuatevelo dove volete, scrivetelo su un cartellone ed appendetevelo, imparatelo a memoria, fatene quel che volete, ma per favore: ascoltate il consiglio!

P.S.: Guarda il video! Se necessario riguardalo, ti controllo!

P.P.S. E fatemi sapere se vi ha giovato!

AFORISMI E RIFLESSIONI

AFORISMI E RIFLESSIONI

CULTURA D'ESTATE 49

1) Il mondo non è stato creato una volta, ma tutte le volte che è sopravvenuto un artista originale.
MARCEL PROUST

Frase verissima. Pensiamo a quando ci immedesimiamo ad esempio in un romanzo, per non dire un quadro o una scultura, ma anche un film. Quella è la nostra nuova realtà. Quando un artista è particolarmente bravo, possiamo anche confondere i mondi. E se l'artista, come dice Marcel, è originale.

2) La chiarezza è una giusta distribuzione di ombre e di luci
J.W.Goethe

Non è sempre facile comprendere questo autore, e anche questa volta abbiamo ottenuto una frase complessa.
Intanto noi sappiamo quanto essere chiari sia importante nella vita. Se ci denunciano e dobbiamo scegliere un nostro avvocato, andiamo da quello confuso e sconclusionato, che perde le carte, o da quello chiaro e sintetico, che non ci fa perdere tempo e lavora con ordine e disciplina?
Bene, quello che ci dice oggi l'autore in questione è che la chiarezza deriva da una data coniugazione di negatività e positività.
Non sono abbastanza bravo od esperto per potere capire quali siano queste negatività e positività, posso solo fare delle ipotesi. Ma se riflettiamo, capiamo che tutte le nostre sensazioni, stati d'animo, persone stesse, modi di essere nel caso dell'aforisma di oggi, hanno dei lati positivi e dei lati negativi, che si notino oppure no di puro, a questo mondo, c'è davvero poco, e nulla di ciò è umano. Solo i grandi artisti possono creare umani puri sotto certi punti di vista, col rischio di fare apparire il proprio romanzo meno verosimile.
Ad esempio, azzardo io, uno dei lati negativi, apparentemente difficili da individuare nella persona chiara di cui parlavamo prima, può essere il menefreghismo, il comportarsi così per risolvere velocemente le cose e avere più tempo per sé.


3) Dio ci dà l'anima, ma il genio dobbiamo conquistarlo con l'immaginazione.
H. HOFMANISTHAL

Sì, di geni ne nascono proprio pochi al mondo. E questa frase per molti lati si commenta e si spiega da sola, posso solo dire il perché.
D'altronde  la parte più complessa può essere il Dio che ci dà l'anima. In che senso? Chi è Dio? Come agnostico mi è difficile, ma non impossibile, pensare ad un Dio che mi dà un'anima, ma questo, certo, tramite la mia immaginazione.
Ma non è questo il punto, anche se non fosse stato Dio a darcela, quest'anima e questo corpo che noi ci ritroviamo ad avere, è la stessa cosa, perché noi siamo, qui ed ora.
Ritorniamo all'inizio della mia spiegazione: di geni ne nascono pochi, perché gli altri non nascono, lo diventano. Capendo quali sono le cose più importanti nella vita. Dare la giusta importanza ad ogni cosa è uno dei compiti più difficili, se non il più difficile che un umano possa avere in terra, e l'unico modo per combattere l'ignoranza; l'ho già detto e ancora lo dirò, per chi non ha letto, perché tutti devono saperlo. Ecco, e una delle cose più importanti nella vita è proprio l'immaginazione. Ecco come si ottiene il genio.

E VOI?
Vi trovate d'accordo con le mie interpretazioni o ho sbagliato qualcosa? Scrivetemelo in un commento.

sabato 25 luglio 2015

EUGENIO MONTALE

EUGENIO MONTALE

CULTURA D'ESTATE 48

E proseguiamo la nostra serie di poeti del cultura d'estate. Oggi è il turno di Eugenio Montale.
Qui trovate il link al documentario sulla vita di Montale, e subito allegato ad esso troverete la seconda parte. Sono due parti, che durano complessivamente un'oretta.
PIOVE
Piove. È uno stillicidio
senza tonfi
di motorette o strilli
di bambini.

Piove
da un cielo che non ha
nuvole.
Piove
sul nulla che si fa
in queste ore di sciopero
generale.

Piove
sulla tua tomba
a San Felice
a Ema
e la terra non trema
perché non c'è terremoto
né guerra.

Piove
non sulla favola bella
di lontane stagioni,
ma sulla cartella
esattoriale,
piove sugli ossi di seppia
e sulla greppia nazionale.

Piove
sulla Gazzetta Ufficiale
qui dal balcone aperto,
piove sul Parlamento,
piove su via Solferino,
piove senza che il vento
smuova le carte.

Piove
in assenza di ermione
se Dio vuole,
piove perché l'assenza
è universale
e se la terra non trema
è perché Arcetri a lei
non l'ha ordinato.

Piove sui nuovi epistemi
del primate adue piedi,
sull'uomo indiato, sul cielo
ominizzato, sul ceffo
dei teologi in tuta
o paludati,
piove sul progresso
della contestazione,
piove sui work in regress,
piove
sui cipressi malati
del cimitero, sgocciola
sulla pubblica opinione.

Piove ma dove appari
non è acqua né atmosfera,
piove perché se non sei
è solo la mancanza
e può affogare.
    0 commenti     di: Eugenio Montale

In Limine
Godi se il vento ch' entra nel pomario
vi rimena l'ondata della vita:
qui dove affonda un morto
viluppo di memorie,
orto non era, ma reliquario.

Il frullo che tu senti non è un volo,
ma il commuoversi dell'eterno grembo;
vedi che si trasforma questo lembo
di terra solitario in un crogiuolo.

Un rovello è di qua dall'erto muro.
Se procedi t' imbatti
tu forse nel fantasma che ti salva:
si compongono qui le storie, gli atti
scancellati pel giuoco del futuro.

Cerca una maglia rotta nella rete
che ci stringe, tu balza fuori, fuggi!
Va, per te l'ho pregato, - ora la sete
mi sarà lieve, meno acre la ruggine...
    0 commenti     di: Eugenio Montale


I limoni
Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantanoi ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall'azzurro:
più chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nell'aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest'odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l'odore dei limoni.

Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s'abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l'anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d'intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno piú languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.

Ma l'illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rurnorose dove l'azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta
il tedio dell'inverno sulle case,
la luce si fa avara - amara l'anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo dei cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d'oro della solarità.
    8 commenti     di: Eugenio Montale


Forse un mattino andando
Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.

Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto
Alberi case colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto
Tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
    9 commenti     di: Eugenio Montale


Corno inglese
Il vento che stasera suona attento
-ricorda un forte scotere di lame-
gli strumenti dei fitti alberi e spazza
l' orizzonte di rame
dove strisce di luce si protendono
come aquiloni al cielo che rimbomba
(Nuvole in viaggio, chiari
reami di lassù! D' alti Eldoradi
malchiuse porte!)
e il mare che scaglia a scaglia,
livido, muta colore
lancia a terra una tromba
di schiume intorte;
il vento che nasce e muore
nell' ora che lenta s' annera
suonasse te pire stasera
scordato strumento,
cuore



Ti libero la fronte dai ghiaccioli
che raccogliesti traversando l'alte
nebulose; hai le penne lacerate
dai cicloni, ti desti a soprassalti.

Mezzodì: allunga nel riquadro il nespolo
l'ombra nera, s'ostina in cielo un sole
freddoloso; e l'altre ombre che scantonano
nel vicolo non sanno che sei qui.
   1 commenti     di: Eugenio Montale
Portami il girasole ch'io lo trapianti
nel mio terreno bruciato dal salino,
e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti
del cielo l'ansietà del suo volto giallino.

Tendono alla chiarità le cose oscure,
si esauriscono i corpi in un fluire
di tinte: queste in musiche. Svanire
é dunque la ventura delle venture.

Portami tu la pianta che conduce
dove sorgono bionde trasparenze
e vapora la vita quale essenza;
portami il girasole impazzito di luce.
   2 commenti     di: Eugenio Montale

Vi piacciono?
Qua  trovate una sua poesia direttamente letta, attenzione alla musicalità meravigliosa.
Qui trovate un'intervista, ed infine se aprite questo link trovate un'altra intervista.

Se apprezzate l'umorismo vedetevi anche questo.

E anche oggi la nostra buona dose di cultura ci è stata inculcata.

E VOI?
Qual è la vostra poesia preferita di Montale?

venerdì 24 luglio 2015

GIACOMO LEOPARDI

CULTURA D'ESTATE 47

GIACOMO LEOPARDI

Buongiorno lettori. Da un po' avete finito la scuola? Non avete più studiato letteratura? Niente paura, ho quel che fa per voi, un bell'articolo sul Leopardi.
E anche un aiuto per gli studenti che ora lo devono studiare, o che lo dovranno studiare.
E poi una bruttissima battuta, ma dato che siamo in tema la dico: sapete l'infinito di Leopardi? Leopardare
Comunque, iniziamo...

Qui trovate il documentario sulla sua vita, mentre se proseguite con i video consigliati trovate anche le altre parti. In tutto dura circa un'oretta. Vi può essere utile
E ora che abbiam parlato della sua vita, passiamo alle opere. Per vari motivi lascio stare la prosa o le operette morali, e passo direttamente alla poesia. Ve ne riporto alcune sue.

Ultimo canto di Saffo
Placida notte, e verecondo raggio
Della cadente luna; e tu che spunti
Fra la tacita selva in su la rupe,
Nunzio del giorno; oh dilettose e care
Mentre ignote mi fur l'erinni e il fato,
Sembianze agli occhi miei; già non arride
Spettacol molle ai disperati affetti.
Noi l'insueto allor gaudio ravviva
Quando per l'etra liquido si volve
E per li campi trepidanti il flutto
Polveroso de' Noti, e quando il carro,
Grave carro di Giove a noi sul capo,
Tonando, il tenebroso aere divide.
Noi per le balze e le profonde valli
Natar giova tra' nembi, e noi la vasta
Fuga de' greggi sbigottiti, o d'alto
Fiume alla dubbia sponda
Il suono e la vittrice ira dell'onda.
Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella
Sei tu, rorida terra. Ahi di cotesta
Infinita beltà parte nessuna
Alla misera Saffo i numi e l'empia
Sorte non fenno. A' tuoi superbi regni
Vile, o natura, e grave ospite addetta,
E dispregiata amante, alle vezzose
Tue forme il core e le pupille invano
Supplichevole intendo. A me non ride
L'aprico margo, e dall'eterea porta
Il mattutino albor; me non il canto
De' colorati augelli, e non de' faggi
Il murmure saluta: e dove all'ombra
Degl'inchinati salici dispiega
Candido rivo il puro seno, al mio
Lubrico piè le flessuose linfe
Disdegnando sottragge,
E preme in fuga l'odorate spiagge.
Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso
Macchiommi anzi il natale, onde sì torvo
Il ciel mi fosse e di fortuna il volto?
In che peccai bambina, allor che ignara
Di misfatto è la vita, onde poi scemo
Di giovanezza, e disfiorato, al fuso
Dell'indomita Parca si volvesse
Il ferrigno mio stame? Incaute voci
Spande il tuo labbro: i destinati eventi
Move arcano consiglio. Arcano è tutto,
Fuor che il nostro dolor. Negletta prole
Nascemmo al pianto, e la ragione in grembo
De' celesti si posa. Oh cure, oh speme
De' più verd'anni! Alle sembianze il Padre,
Alle amene sembianze eterno regno
Diè nelle genti; e per virili imprese,
Per dotta lira o canto,
[continua a leggere...]
    2 commenti     di: Giacomo Leopardi


Brilla nell'aria
Primavera d'intorno.
Brilla nell' aria
e per li campi esulta,
si' ch' a mirarla intenerisce il core
odi greggi belar, muggire armenti
e gli altri augelli contenti
a gara insieme,
per lo libero ciel
fan mille giri,
pur festeggiando il lor tempo migliore
    8 commenti     di: Giacomo Leopardi

Ad Angelo Mai
Italo ardito, a che giammai non posi
Di svegliar dalle tombe
I nostri padri? ed a parlar gli meni
A questo secol morto, al quale incombe
Tanta nebbia di tedio? E come or vieni
Sì forte a' nostri orecchi e sì frequente,
Voce antica de' nostri,
Muta sì lunga etade? e perchè tanti
Risorgimenti? In un balen feconde
Venner le carte; alla stagion presente
I polverosi chiostri
Serbaro occulti i generosi e santi
Detti degli avi. E che valor t'infonde,
Italo egregio, il fato? O con l'umano
Valor forse contrasta il fato invano?
Certo senza de' numi alto consiglio
Non è ch'ove più lento
E grave è il nostro disperato obblio,
A percoter ne rieda ogni momento
Novo grido de' padri. Ancora è pio
Dunque all'Italia il cielo; anco si cura
Di noi qualche immortale:
Ch'essendo questa o nessun'altra poi
L'ora da ripor mano alla virtude
Rugginosa dell'itala natura,
Veggiam che tanto e tale
È il clamor de' sepolti, e che gli eroi
Dimenticati il suol quasi dischiude,
A ricercar s'a questa età sì tarda
Anco ti giovi, o patria, esser codarda.
Di noi serbate, o gloriosi, ancora
Qualche speranza? in tutto
Non siam periti? A voi forse il futuro
Conoscer non si toglie. Io son distrutto
Nè schermo alcuno ho dal dolor, che scuro
M'è l'avvenire, e tutto quanto io scerno
È tal che sogno e fola
Fa parer la speranza. Anime prodi,
Ai tetti vostri inonorata, immonda
Plebe successe; al vostro sangue è scherno
E d'opra e di parola
Ogni valor; di vostre eterne ledi
Nè rossor più nè invidia; ozio circonda
I monumenti vostri; e di viltade
Siam fatti esempio alla futura etade.
Bennato ingegno, or quando altrui non cale
De' nostri alti parenti,
A te ne caglia, a te cui fato aspira
Benigno sì che per tua man presenti
Paion que' giorni allor che dalla dira
Obblivione antica ergean la chioma,
Con gli studi sepolti,
I vetusti divini, a cui natura
Parlò senza svelarsi, onde i riposi
M
[continua a leggere...]
    1 commenti     di: Giacomo Leopardi


Le ricordanze
Vaghe stelle dell'Orsa, io non credea
Tornare ancor per uso a contemplarvi
Sul paterno giardino scintillanti,
E ragionar con voi dalle finestre
Di questo albergo ove abitai fanciullo,
E delle gioie mie vidi la fine.
Quante immagini un tempo, e quante fole
Creommi nel pensier l'aspetto vostro
E delle luci a voi compagne! allora
Che, tacito, seduto in verde zolla,
Delle sere io solea passar gran parte
Mirando il cielo, ed ascoltando il canto
Della rana rimota alla campagna!
E la lucciola errava appo le siepi
E in su l'aiuole, susurrando al vento
I viali odorati, ed i cipressi
Là nella selva; e sotto al patrio tetto
Sonavan voci alterne, e le tranquille
Opre de' servi. E che pensieri immensi,
Che dolci sogni mi spirò la vista
Di quel lontano mar, quei monti azzurri,
Che di qua scopro, e che varcare un giorno
Io mi pensava, arcani mondi, arcana
Felicità fingendo al viver mio!
Ignaro del mio fato, e quante volte
Questa mia vita dolorosa e nuda
Volentier con la morte avrei cangiato.
Nè mi diceva il cor che l'età verde
Sarei dannato a consumare in questo
Natio borgo selvaggio, intra una gente
Zotica, vil; cui nomi strani, e spesso
Argomento di riso e di trastullo,
Son dottrina e saper; che m'odia e fugge,
Per invidia non già, che non mi tiene
Maggior di se, ma perchè tale estima
Ch'io mi tenga in cor mio, sebben di fuori
A persona giammai non ne fo segno.
Qui passo gli anni, abbandonato, occulto,
Senz'amor, senza vita; ed aspro a forza
Tra lo stuol de' malevoli divengo:
Qui di pietà mi spoglio e di virtudi,
E sprezzator degli uomini mi rendo,
Per la greggia ch'ho appresso: e intanto vola
II caro tempo giovanil; più caro
Che la fama e l'allor, più che la pura
Luce del giorno, e lo spirar: ti perdo
Senza un diletto, inutilmente, in questo
Soggiorno disumano, intra gli affanni,
O dell'arida vita unico fiore.
Viene il vento recando il suon dell'ora
Dalla torre del borgo. Era conforto
Questo suon, mi rime
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A se stesso
Or poserai per sempre,
stanco mio cor. Perì l'inganno estremo
ch'eterno io mi credei. Perì. Ben sento,
in noi di cari inganni,
non che la speme, il desiderio è spento.
Posa per sempre. Assai
palpitasti. Non val cosa nessuna
i moti tuoi, nè di sospiri è degna
la terra. Amaro e noia
la vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
T'acqueta omai. Dispera
l'ultima volta. Al gener nostro il fato
non donò che il morire. Omai disprezza
te, la natura, il brutto
poter che, ascoso, a comun danno impera
e l'infinita vanità del tutto.

A Silvia
Silvia, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale,
Quando beltà splendea
Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
E tu, lieta e pensosa, il limitare
Di gioventù salivi?
Sonavan le quiete
Stanze, e le vie dintorno,
Al tuo perpetuo canto,
Allor che all'opre femminili intenta
Sedevi, assai contenta
Di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
Così menare il giorno.
Io gli studi leggiadri
Talor lasciando e le sudate carte,
Ove il tempo mio primo
E di me si spendea la miglior parte,
D'in su i veroni del paterno ostello
Porgea gli orecchi al suon della tua voce,
Ed alla man veloce
Che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
Le vie dorate e gli orti,
E quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
Quel ch'io sentiva in seno.
Che pensieri soavi,
Che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
La vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
Un affetto mi preme
Acerbo e sconsolato,
E tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
Perché non rendi poi
Quel che prometti allor? perché di tanto
Inganni i figli tuoi?
Tu pria che l'erbe inaridisse il verno,
Da chiuso morbo combattuta e vinta,
Perivi, o tenerella. E non vedevi
Il fior degli anni tuoi;
Non ti molceva il core
La dolce lode or delle negre chiome,
Or degli sguardi innamorati e schivi;
Né teco le compagne ai dì festivi
Ragionavan d'amore.
Anche peria fra poco
La speranza mia dolce: agli anni miei
Anche negaro i fati
La giovanezza. Ahi come,
Come passata sei,
Cara compagna dell'età mia nova,
Mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? questi
I diletti, l'amor, l'opre, gli eventi
Onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte dell'umane genti?
All'apparir del vero
Tu, misera, cadesti: e con la mano
La fredda morte ed una tomba ignuda
Mostravi di lontano.
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Nelle nozze della sorella Paolina
Poi che del patrio nido
I silenzi lasciando, e le beate
Larve e l'antico error, celeste dono,
Ch'abbella agli occhi tuoi quest'ermo lido
Te nella polve della vita e il suono
Tragge il destin; l'obbrobriosa etate
Che il duro cielo a noi prescrisse impara,
Sorella mia, che in gravi
E luttuosi tempi
L'infelice famiglia all'infelice
Italia accrescerai. Di forti esempi
Al tuo sangue provvedi. Aure soavi
L'empio fato interdice
All'umana virtude,
Nè pura in gracil petto alma si chiude.
O miseri o codardi
Figliuoli avrai. Miseri eleggi. Immenso
Tra fortuna e valor dissidio pose
Il corrotto costume. Ahi troppo tardi,
E nella sera dell'umane cose,
Acquista oggi chi nasce il moto e il senso.
Al ciel ne caglia: a te nel petto sieda
Questa sovr'ogni cura,
Che di fortuna amici
Non crescano i tuoi figli, e non di vile
Timor gioco o speme : onde felici
Sarete detti nell'età futura:
Poichè (nefando stile,
Di schiatta ignava e finta )
Virtù viva sprezziam, lodiamo estinta.
Donne, da voi non poco
La patria aspetta; e non in danno e scorno
Dell'umana progenie al dolce raggio
Delle pupille vostre il ferro e il foco
Domar fu dato. A senno vostro il saggio
E il forte adopra e pensa; e quanto il giorno
Col divo carro accerchia, a voi s'inchina.
Ragion di nostra etate
Io chieggo a voi. La santa
Fiamma di gioventù dunque si spegne
Per vostra mano? attenuata e franta
Da voi nostra natura? e le assonnate
Menti, e le voglie indegne,
E di nervi e di polpe
Scemo il valor natio, son vostre colpe?
Ad atti egregi è sprone
Amor, chi ben l'estima, e d'alto affetto
Maestra è la beltà. D'amor digiuna
Siede l'alma di quello a cui nel petto
Non si rallegra il cor quando a tenzone
Scendono i venti, e quando nembi aduna
L'olimpo, e fiede le montagne il rombo
Della procella. O spose,
O verginette, a voi
Chi de' perigli è schivo, e quei che indegno
È della patria e che sue brame e suoi
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Ad Angelo Mai
Italo ardito, a che giammai non posi
Di svegliar dalle tombe
I nostri padri? ed a parlar gli meni
A questo secol morto, al quale incombe
Tanta nebbia di tedio? E come or vieni
Sì forte a' nostri orecchi e sì frequente,
Voce antica de' nostri,
Muta sì lunga etade? e perchè tanti
Risorgimenti? In un balen feconde
Venner le carte; alla stagion presente
I polverosi chiostri
Serbaro occulti i generosi e santi
Detti degli avi. E che valor t'infonde,
Italo egregio, il fato? O con l'umano
Valor forse contrasta il fato invano?
Certo senza de' numi alto consiglio
Non è ch'ove più lento
E grave è il nostro disperato obblio,
A percoter ne rieda ogni momento
Novo grido de' padri. Ancora è pio
Dunque all'Italia il cielo; anco si cura
Di noi qualche immortale:
Ch'essendo questa o nessun'altra poi
L'ora da ripor mano alla virtude
Rugginosa dell'itala natura,
Veggiam che tanto e tale
È il clamor de' sepolti, e che gli eroi
Dimenticati il suol quasi dischiude,
A ricercar s'a questa età sì tarda
Anco ti giovi, o patria, esser codarda.
Di noi serbate, o gloriosi, ancora
Qualche speranza? in tutto
Non siam periti? A voi forse il futuro
Conoscer non si toglie. Io son distrutto
Nè schermo alcuno ho dal dolor, che scuro
M'è l'avvenire, e tutto quanto io scerno
È tal che sogno e fola
Fa parer la speranza. Anime prodi,
Ai tetti vostri inonorata, immonda
Plebe successe; al vostro sangue è scherno
E d'opra e di parola
Ogni valor; di vostre eterne ledi
Nè rossor più nè invidia; ozio circonda
I monumenti vostri; e di viltade
Siam fatti esempio alla futura etade.
Bennato ingegno, or quando altrui non cale
De' nostri alti parenti,
A te ne caglia, a te cui fato aspira
Benigno sì che per tua man presenti
Paion que' giorni allor che dalla dira
Obblivione antica ergean la chioma,
Con gli studi sepolti,
I vetusti divini, a cui natura
Parlò senza svelarsi, onde i riposi
M
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La quiete dopo la tempesta
Passata è la tempesta:
odo augelli far festa, e la gallina,
tornata in su la via,
che ripete il suo verso. Ecco il sereno
rompe là da ponente, alla montagna;
sgombrasi la campagna,
e chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
Risorge il romorio,
torna il lavoro usato.
L’artigiano a mirar l’umido cielo,
con l’opra in man, cantando,
fassi in su l’uscio; a prova
vien fuor la femminetta a cor dell’acqua
della novella piova;
e l’erbaiuol rinnova
di sentiero in sentiero
il grido giornaliero.
Ecco il sol che ritorna, ecco sorride
Per li poggi e le ville. Apre i balconi,
apre terrazzi e logge la famiglia:
e, dalla via corrente, odi lontano
tintinnio di sonagli; il carro stride
del passegger che il suo cammin ripiglia.
Si rallegra ogni core.
Sì dolce, sì gradita
Quand’è, com’or, la vita?
Quando con tanto amore
l’uomo a’ suoi studi intende?
o torna all’opre? o cosa nova imprende?
quando de’ mali suoi men si ricorda?
Piacer figlio d’affanno;
Gioia vana, ch’è frutto
del passato timore, onde si scosse
e paventò la morte
chi la vita abboria,
onde in lungo tormento,
fredde, tacite, smorte,
sudar le genti e palpitar, vedendo mossi alle nostre offese
folgori, nembi evento.
O natura cortese,
son questi i doni tuoi,
questi i diletti sono
che tu porgi ai mortali. Uscir di pena
è diletto fra noi.
Pene tu spargi a larga mano; il duolo
spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto
che per mostro e miracolo tal volta
nasce d’affanno, è gran guadagno. Umana
prole cara agli eterni! assai felice
se respirar ti lice
d’alcun dolor: beata
se te d’ogni dolor morte risana.
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Le ricordanze
Vaghe stelle dell'Orsa, io non credea
Tornare ancor per uso a contemplarvi
Sul paterno giardino scintillanti,
E ragionar con voi dalle finestre
Di questo albergo ove abitai fanciullo,
E delle gioie mie vidi la fine.
Quante immagini un tempo, e quante fole
Creommi nel pensier l'aspetto vostro
E delle luci a voi compagne! allora
Che, tacito, seduto in verde zolla,
Delle sere io solea passar gran parte
Mirando il cielo, ed ascoltando il canto
Della rana rimota alla campagna!
E la lucciola errava appo le siepi
E in su l'aiuole, susurrando al vento
I viali odorati, ed i cipressi
Là nella selva; e sotto al patrio tetto
Sonavan voci alterne, e le tranquille
Opre de' servi. E che pensieri immensi,
Che dolci sogni mi spirò la vista
Di quel lontano mar, quei monti azzurri,
Che di qua scopro, e che varcare un giorno
Io mi pensava, arcani mondi, arcana
Felicità fingendo al viver mio!
Ignaro del mio fato, e quante volte
Questa mia vita dolorosa e nuda
Volentier con la morte avrei cangiato.
Nè mi diceva il cor che l'età verde
Sarei dannato a consumare in questo
Natio borgo selvaggio, intra una gente
Zotica, vil; cui nomi strani, e spesso
Argomento di riso e di trastullo,
Son dottrina e saper; che m'odia e fugge,
Per invidia non già, che non mi tiene
Maggior di se, ma perchè tale estima
Ch'io mi tenga in cor mio, sebben di fuori
A persona giammai non ne fo segno.
Qui passo gli anni, abbandonato, occulto,
Senz'amor, senza vita; ed aspro a forza
Tra lo stuol de' malevoli divengo:
Qui di pietà mi spoglio e di virtudi,
E sprezzator degli uomini mi rendo,
Per la greggia ch'ho appresso: e intanto vola
II caro tempo giovanil; più caro
Che la fama e l'allor, più che la pura
Luce del giorno, e lo spirar: ti perdo
Senza un diletto, inutilmente, in questo
Soggiorno disumano, intra gli affanni,
O dell'arida vita unico fiore.
Viene il vento recando il suon dell'ora
Dalla torre del borgo. Era conforto
Questo suon, mi rime
[continua a leggere...]
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Ovviamente l'elenco è incompleto e per ragioni di spazio non mi dilungo a riportarvele tutte, ma queste sono direttamente reperibili, anche in pdf, sul web.

Qui troverete A Silvia in una versione letta da un professionista del settore, mentre, per quanto riguarda le curiosità e le cose meno facilmente reperibili qua trovate un cortometraggio interessante.

Ricordo a tutti che qualche mese fa è uscito Il giovane favoloso, film sulla vita dell'autore. Nonostante molti l'abbiano considerato noioso può essere bello, e sono opinioni. Se vi capita vedetelo.

E VOI?
Qual è la vostra poesia preferita di Leopardi?

giovedì 23 luglio 2015

AFORISMI E RIFLESSIONI

AFORISMI E RIFLESSIONI

CULTURA D'ESTATE 46


Buongiorno a tutti!
Continuiamo con i nostri aforismi, e voi commentate!

1) Il tempo degli eventi è diverso dal nostro.
EUGENIO MONTALE

Mi sembra come di essere tornato a scuola, quando ci insegnavano la differenza tra fabula e intreccio. Solo che quelle cose lì erano di una storia inesistente, una storia scritta, inventata, anche se inventare una storia è un'espressione a dir poco orribile. Invece la fabula e l'intrecccio di cui ci parla Montale, sono applicati alla vita reale(Che carina questa rima alla Montale).
Noi percepiamo il tempo diversamente da quello che è. Quante volte ci è capitato di guardare l'orologio, come sto facendo io ora e di dire: "Di già?", capperi, sì, di già, il tempo vola.
O nelle lunghe lezioni di matematica chiedere di nascosto all'unico compagno con l'orologio, e per questo perseguitato da tutti: "Che ora è", e dopo la risposta ricevuta ci si voleva suicidare? "Ancora? Mancano ancora 40 minuti, non è possibile!".
Noi quindi, per quanto detto, percepiamo il tempo, o meglio, lo scorrere del tempo, diversamente da quello che è in realtà. Ma vi sono molti fattori aggiuntivi: come la stanchezza, il succedersi di eventi continui, la tristezza, la malinconia: questi sono solo alcuni dei vari fattori che influenzano il nostro tempo, il nostro orologio personalee del nostro sviluppo personale: quello avrà sì i nostro tempo, che certo saranno differenti dagli altrri orologi, quelli svizzeri precisi, e quelli delle altre persone. Ulteriori interpretazioni ed evoluzioni di quanto detto le lascio a voi. Il seme è stato gettato.

2)A tutti impone il demone, a chi uno, a chi un altro, dolori.
BACCHILIDE

Questa frase sembra complicata. E lo è.
Già innanzitutto per la forma con la quale è stata scritta. Ma andiamo per ordine. Anzitutto si dice: "a tutti", quindi sappiamo che non è una cosa riservata a stupidi babbani, ma riguarda anche noi. "Impone", quindi direi che non possiamo scappare da quanto sta per essere detto, positivo o negativo che sia.
"Il demone". Il demone? Il demone! Questa è la fase più interpretativa. Chi è questo demone, il maligno? Noi stessi? Il male in senso lato? Andiamo avanti e forse riusciremo a capire meglio.
"A chi uno, a chi un altro", non possiamo scappare da quest'imposizione del demone, ma la nostra situazione sarà diversa da quella di altre persone. Questo fatto, nella mia interpretazione, ci fa sentire più soli e difficili da consolare nei momenti del bisogno, anche se abbiamo amici pronti ad aiutarci. Per questo che negli aforismi del cultura d'estate 44, miei, vi ho detto che "Noi siamo gli psicologi di noi stessi", è una grande verità, che, se tutti la capissero, risolverebbe molti problemi, tra tutti.
"Dolori". Ah, certo, dolori, quelli ci sono sempre, è vero.
Il demone quindi è un po' tutte le tre cose che abbiamo detto, e, potenzialmente, potrebbe essere tutte le cose di questo mondo. Perché le cose che possono causarci dolore, fisico, ma soprattutto psicologico, sono infinite. Così i demoni, infiniti, o se preferite, c'è questo demone che raccoglie tutti i nostri personali dolori, e ce li impone, come una punizione da scontare.

 E VOI?
Qual è il vostro aforisma preferito(Noi dei miei elenchi, ma in assoluto), e perché?