lunedì 22 giugno 2015

AFORISMI E RIFLESSIONI

CULTURA D'ESTATE 09

Per la giornata di giovedì. A venire: venerdì, sabato, domenica, lunedì.

Sono tornato! In questi giorni sono stato a Praga, nei prossimi giorni se riesco infilo un po' di foto così vi racconto un po' di storia e un po' di arte, perché quella città ne è piena. Infine però devo farvi un'ultima serie di care riflessioni che ho in serbo per voi, e nelle giornate dei prossimi giorni potrò parlarvi un po' di Praga.

Intanto, per questi aforismi che vi incollo di continuo, vi consiglio l'iscrizione alla newsletter di un aforisma al giorno, facilmente rintracciabile su google. Non è mia intenzione fare pubblicità, eppure se c'è qualcosa di bello dovrò pur consigliarlo, no? Ovviamente è tutto gratis.

1) Una fotografia è un segreto che parla di un segreto. Più essa racconta, meno è possibile conoscere.
D. Arbus
Al contrario delle precedenti frasi della fotografa, questa mi sembra un po' più furba. Non so se vi ricordiate il detto: "Il miglior modo per dire la verità è non dirla affatto", e mi pareva anche di avervi parlato in altre occasioni delle cosiddette bugie a fin di bene. Ecco, questa è la stessa verità applicata alle fotografie. E come dice Poe ne la lettera rubata:"Il miglior modo per nascondere qualcosa è renderlo visibile alla vista di tutti".

2)Il vero viaggio di scoperta non consiste nello scoprire nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi.
Marcel Proust
Questo può essere il succo di quella famosa madelaine, vi ricordate la storia inerente? Certo è che per vedere le cose diversamente basta cambiare punto di vista. Ricordate l'opera stili, di Queauneau? In cui lo stesso semplice episodio si ripete di continuo ma viene narrato in maniera differente? E' un evento banale, senza nulla di appassionante, eppure è narrato così bene e così variegatamente che non annoia neppure. Questo ci può aiutare a capire la frase di Proust. L'episodio è raccontato cento volte, e ve ne incollo alcune, ricordandovi che su internet ormai si può trovare qualsiasi cosa in pdf, e in questo caso è pure legale.
ESERCIZI DI STILE di Raymond Queneau (trad. di Umberto Eco) 2 1 Notazioni Sulla S, in un’ora di traffico. Un tipo di circa ventisei anni, cappello floscio con una cordicella al posto del nastro, collo troppo lungo, come se glielo avessero tirato. La gente scende. Il tizio in questione si arrabbia con un vicino. Gli rimprovera di spingerlo ogni volta che passa qualcuno. Tono lamentoso, con pretese di cattiveria. Non appena vede un posto libero, vi si butta. Due ore piú tardi lo incontro alla Cour de Rome, davanti alla Gare Saint-Lazare. È con un amico che gli dice: «Dovresti far mettere un bottone in piú al soprabito». Gli fa vedere dove (alla sciancratura) e perché. 2 Partita doppia Nel mezzo della giornata e a mezzodí, mi trovavo e salii sulla piattaforma e balconata posteriore di un autobus e di un tram a cavalli autopropulso affollato e pressocché brulicante di umani viventi della linea S che va dalla Contrescarpe a Champerret. Vidi e rimarcai un giovinotto non anziano, assai ridicolo e non poco grottesco, dal collo magro e dalla gola scarnita, cordicella e laccetto intorno al feltro e cappello. Dopo uno spingi-spingi e un schiacciaschiaccia, quello affermò e asserí con voce e tono lacrimoso e piagnucoloso che il suo vicino e sodale di viaggio s’intenzionava e s’ingegnava volontariamente e a bella posta di spingerlo e importunarlo ogni qual volta si scendesse uscendo o si salisse entrando. Questo detto e dopo aver aperto bocca, ecco che si precipita ed affanna verso uno scranno e sedile vergine e disoccupato. Due ore dopo e centoventi minuti piú tardi, lo reincontro e lo ritrovo alla Cour de Rome a cospetto della Gare Saint-Lazare, mentre è e si trova con un amico e contubernale che gli insinua di, e lo incita a, far applicare e assicurare un bottone e bocciolo d’osso al suo mantello e ferraiuolo. 3 Litoti Non s’era in pochi a spostarci. Un tale, al di qua della maturità, e che non sembrava un mostro d’intelligenza, borbottò per un poco con un signore che a lato si sarebbe comportato in modo improprio. Poi si astenne e rinunciò a restar in piedi. Non fu certo il giorno dopo che mi avvenne di rivederlo: non era solo e si occupava di moda. 4 Metaforicamente Nel cuore del giorno, gettato in un mucchio di sardine passeggere d’un coleottero dalla grossa corazza biancastra, un pollastro dal gran collo spiumato, di colpo arringò la piú placida di quelle, e il suo linguaggio si librò nell’aria, umido di protesta. Poi, attirato da un vuoto, il volatile vi si precipitò. In un triste deserto urbano lo rividi il giorno stesso, che si faceva smoccicar l’arroganza da un qualunque bottone. 5 Retrogrado Dovresti aggiungere un bottone al soprabito, gli disse l’amico. L’incontrai in mezzo alla Cour de Rome, dopo averlo lasciato mentre si precipitava avidamente su di un posto a sedere. Aveva appena finito di protestare per la spinta di un altro viaggiatore che, secondo lui, lo urtava ogni qualvolta scendeva qualcuno. Questo scarnificato giovanotto era latore di un cappello ridicolo. Avveniva sulla piattaforma di un S sovraffollato, di mezzogiorno. 6 Sorprese Com’eravamo schiacciati su quella piattaforma! E come non era ridicolo e vanesio quel ragazzo! E che ti fa? Non si mette a discutere con un poveretto che - sai la pretesa, il giovinastro! - lo avrebbe spinto? E non ti escogita niente po’ po’ di meno che andar svelto a occupare un posto libero? Invece di lasciarlo a una signora! Due ore dopo, indovinate chi ti incontro davanti alla Gare Saint-Lazare? Ve la do a mille da indovinare! Ma proprio lui, il bellimbusto! Che si faceva dar consigli di moda! Da un amico! Stento ancora a crederci! 7 Sogno Mi pareva che tutto intorno fosse brumoso e biancastro tra presenze multiple e indistinte, tra le quali si stagliava tuttavia abbastanza netta la figura di un uomo giovane, il cui collo troppo lungo sembrava manifestarne da solo il carattere vile e astioso. Il nastro del suo cappello era sostituito da una cordicella intrecciata. Poco dopo ecco che discuteva con un individuo che intravvedevo in modo impreciso e poi - come colto da súbita paura - si gettava nell’ombra di un corridoio. Un altro momento del sogno me lo mostra mentre procede in pieno sole davanti alla Gare Saint-Lazare. P, con un amico che gli dice: «Dovresti fare aggiungere un bottone al tuo soprabito». A questo punto mi sono svegliato. 8 Pronostici Quando verrà mezzogiorno ti troverai sulla piattaforma posteriore di un autobus dove si comprimeranno dei viaggiatori tra i quali tu noterai un ridicolo giovincello, collo scheletrico e nessun nastro intorno al feltro molle. Non si sentirà a proprio agio, lo sciagurato. Penserà che un tale lo spinge a bella posta, ad ogni passaggio di gente che sale e che scende. Glielo dirà, ma l’altro, sdegnoso, non risponderà motto. Poi il ridicolo giovincello, preso dal panico, gli sfuggirà sotto il naso, verso un posto vacante. 3 Lo rivedrai piú tardi, Cour de Rome, davanti alla stazione di San Lazzaro. Un amico lo accompagnerà, e udirai queste parole: «Il tuo soprabito non si chiude bene. occorre che tu faccia aggiungere un bottone». 9 Sinchisi Ridicolo giovanotto che mi trovavo un giorno su di un autobus gremito della linea S, collo allungato, al cappello una cordicella, notai un. Arrogante e lagrimoso con un tono, che gli si trovava accanto, contro questo signore protesta lui. Perché lo spingerebbe, volta ogni gente che la scende ne. Libero siede si precipita un posto sopra, questo detto. A Rome Cour de, io lo di nuovo incontro due dopo ore e un al suo soprabito bottone d’aggiungere un amico suggerisce gli. 10 Arcobaleno Mi trovavo sulla piattaforma di un autobus violetto. V’era un giovane ridicolo, collo indaco, che protestava contro un tizio blu. Gli rimproverava con voce verde di spingerlo, poi si lanciava su di un posto giallo. Due ore dopo, davanti a una stazione arancio. Un amico gli dice di fare aggiungere un bottone al suo soprabito rosso. 11 Logo-rallye (Istruzioni: inserire nel racconto le parole dote, baionetta, nemico, cappella, atmosfera, Bastiglia, lettera) . Un giorno mi trovavo sulla piattaforma di un autobus che faceva parte della dote comunale. C’era un giovanotto ridicolo, non perché portasse una baionetta, ma perché aveva l’aria di averla pur non avendola. All’improvviso, costui balza sul suo presunto nemico e lo accusa di comportarsi come non si dovrebbe in una cappella. E dopo aver reso l’atmosfera tesa, questo bischero va a sedersi. Lo reincontro due ore dopo, non lontano dalla Bastiglia, con un amico che gli consiglia di far aggiungere un bottone al suo soprabito. Consiglio che avrebbe potuto dargli anche per lettera. 12 Esitazioni Non so bene dove accadesse... in una chiesa, in una bara, in una cripta? Forse... su di un autobus. E c’era... Cosa diavolo c’era? Spade, omenòni, inchiostro simpatico? Forse... scheletri? Sí scheletri, ma ancora con la carne intorno, vivi e vegeti. Almeno, temo. Gente su di un autobus. Ma ce n’era uno (o erano due?) che si faceva notare, non vorrei dire per che cosa. Per la sua astuzia sorniona? Per la sua adipe sospetta? Per la sua melanconia? No, meglio - o piú precisamente - a causa della sua imprecisa immaturità, ornata di un lungo... naso... mento... alluce? No: collo. E un cappello strano, strano, strano. Si mise a litigare (sí, è cosí) senza dubbio con un altro passeggero (uomo o donna? bambino o vegliardo?). Poi finí - perché finí pure, in qualche modo o maniera - probabilmente perché uno dei due era scomparso... Credo sia proprio lo stesso individuo quello che ho rivisto... ma dove? Davanti a una chiesa, a una cripta, a una bara? Con un amico che doveva certo parlargli di qualcosa, ma di che, di che, di che?
Scusate se è tutto attaccato, ad alcuni risulterà più leggibile, ad altri meno.

Girovagando per il web alla ricerca del testo di Stili da incollarvi, ho trovato un interessante articolo su quest'opera, che ora vi incollo, ma solo in parte, la parte che ci interessa, e non la parte già trattata da noi in precedenza.
Rubato da STORIE

Queneau stesso pare sdoppiarsi. Da una parte, il chirurgo freddo e calcolatore, dall’altra una sorta di avventuriero, un esploratore lessicale in cerca di paradossidi un linguaggio musicale, quasi dionisiaco, ed, in fondo di una realtà linguistica e sociale ancora tutta da scoprire. Ed ecco, allora, che, come detto, dalle “Notazioni” si passa alle 98 variazioni, operazione che, pare, Queneau abbia concepito ascoltando delle variazioni sinfoniche.
Una di queste è l’esilarante “Sincopi”, esercizio al quale lo scrittore giunge dopo le apocopi (caduta della vocale finale di una parola ed eventualmente anche della consonante che la precede), le aferesi (soppressione di una vocale o sillaba iniziale), e i poliptoti (figura retorica classica, consistente nel riprendere in frasi successive di un periodo una parola, di solito la prima della frase iniziale): “Ungrno vrso mzogiorno sopra lpaiattformapstriore duntobus delalina S vdin gíovn dalcoltrplngo cheportva uncpelloircndtda unacrdcella intrcc. Eglsto appstro’ fiV isuvicno prtndendochcotui fcvappsta a pstrglipdi agni frmt. Porpdmente eglbndono’ ladscsione pergttrsi sdin pstlbro. Lrivdqulche orpitrdi dvantilastzione Sntlzre igrn conversazne cncmpgno chísuggrva dfrisalre upco ibottne desusprbto”.
Comicità acquisita per accumulo, dunque, assoluta follia verbale, ma non più di tanto, se si guarda con attenzione; per avere lo stesso effetto basterebbe parlare, in fondo, con un arabo giunto da poco tempo in Italia (il quale, probabilmente, alla fine dell’incontro vi saluterebbe con un impicciatissimo “Arvdc” che sta per “arrivederci”).
Eccoci dunque al momento cruciale dell’operazione: l’esploratore è ora nel cuore del linguaggio e così nel cuore del mondo. Non è interessato ad un vuoto gioco formale sulle parole, ma attraverso le sue scomposizioni e i suoi parossismi pare giungere al nucleo delle cose.
Il breve raccontino, la notazione sull’autobus della linea S, l’osservazione di un uomo dal collo troppo lungo, diventano a mano a mano altri 98 racconti, tutti significativi ed uno diverso dall’altro.
Il corpo lessicale che Queneau ha steso sulla tavola operatoria, e sul quale sta operando e trapiantando, moltiplicato com’è, diventa allora le mille voci e i mille specchi di quel labirinto che è la realtà.
Gli esperimenti aumentano vertiginosamente, come in un’entusiasmante composizione di free jazz: l’autobus della linea S viene percepito e curiosamente raccontato dall’olfatto, dal gusto e dall’udito. Leggiamo onomatopee (“A boarrrdo di un auto (bit bit, pot pot!) bus, bussante…”, comunicati telegrafici (“BUS COMPLETO STOP TIZIO LUNGOCOLLO CAPPELLO TRECCIA APOSTROFA SCONOSCIUTO SENZA VALIDO PRETESTO STOP…”), siamo invitati a vedere l’azione da diversi punti di vista: quello del reazionario (“Naturalmeexercices-de-stylente l’autobus era pieno e il bigliettaio sgradevole…”), quello scientifico e privo di emozioni dell’insiemista (“Nell’autobus S si consideri l’insieme A dei passeggeri seduti e l’insieme D dei passeggeri in piedi…”, quello incerto del protagonista di “Dunque, cioè” (“Dunque, più tardi, cioè alla Gare Saint-Lazare, l’ho rivisto, dunque. Cioè, era con un tale che, dunque, gli diceva, cioè quel tale: ‘dunque, dovresti far mettere un altro bottone, dunque, al soprabito. Cioè”), quello maldestro e forse un po’ datato del compagno (“Perché cazzo, scusate compagni, io non sono abituato a intervenire in situazioni politiche di un certo tipo. Cioè, cazzo, a me non mi hanno fatto studiare perché cazzo la scuola, cioè, è solo dei ricchi. Io vorrei dare una testimonianza di classe di quel che ho visto ieri sull’autobus (non sulle mercedes dei signori) ma mi si intrecciano le dita…”) fino a quello colorito e pasoliniano del coatto (“Aho! Annavo a magna’ e te monto su quer bidone de la Esse-e ‘anvedi? – nun me vado a incoccia’ con ‘no stronzo con un collo cche pareva un cacciavite, e ‘na trippa sur cappello? E quello un se mette a baccaglia’ con st’artro burino perché – dice – je acciacca er ditone? Te possino! Ma cche voi, ma cchi spinge? e certo che spinge! chi, io? ma va a magna’ er sapone!”).
E il gioco continua, e potrebbe continuare a lungo, come se Queneau fosse preda di allucinazioni e formidabili intuizioni indotte dall’uso di LSD verbale.
Al linguaggio quotidiano si aggiunge così la gustosa ed intelligente parodia dei generi letterari. E il caso dell’esercizio “Ampolloso”, così comune a tanta letteratura italiana passata e contemporanea: “Quando l’aurora dalle dita di rosa imparte i suoi colori al giorno che nasce, sul rapidissimo dardo che per le sinuose correnti dell’Esse falcatamente incede, grande d’aspetto e dagli occhi tondi come toro di Bisanto…”; o di quello fieramente disperato dei “Versi liberi”: “L’autobus/pieno/il cuore/ vuoto/il collo/lungo/il nastro/a treccia/i piedi/piatti/piatti e appiattiti/il posto/vuoto/e l’inatteso incontro alla stazione dai mille fuochi/spenti/di quel cuore, di quel collo, di quel nastro, di quei piedi/di quel posto vuoto/e di quel/ bottone”; o di quello, ancora, molto vicino al Céline di “Viaggio al termine della notte”: “Ma, guarda, ‘ste cose non le capisco: un tipo che s’intigna a marciarti sul ditone ti fa girare i cosiddetti. Ma se dopo aver protestato va poi a sedersi come un cottolengo, me guarda questo non mi va giù. Me guarda, ho visto ‘sta roba l’altro giorno sulla piattaforma di dietro della S…”. E potevano mancare in questo contesto le sempre più importanti ed attualissime contaminazioni linguistiche? Ecco allora una versione del giavanese: “Ufun giofornofo vefersofo mefezzofogiofornofo sufun afautofobufus vefedofo ufun giofovafanofottofo cofon ufun cafappefellofo cofon ufunafa trefecciafa efe ufun cofollofo htfungofo…”; e l’esilarante anglicismo, probabilmente, vista l’americanizzazione del pianeta, l’esperanto del futuro: “Un dei, verso middei, ho takato il bus and ho seen un yungo manno con un greit necco e un hatto con una ropa texturata. Molto quicko questo yungo manno becoma crazo e acchiusa un molto respettabile sir di smashargli i fitti. Den quello runna tovardo un anocchiupato sitto. Leíter lo vedo againo che ualcava alla steiscione Seintlasar con uno friendo che gli ghiva suggestioni sopro un batton del cot”. Moltissime possibilità vengono dunque sperimentate.
Fondamentale, in un caso come questo, è il ruolo della traduzione di Umberto Eco. Essendo impossibile una traduzione letterale, Eco, così come spiega nell’introduzione, ha tentato (nei casi, almeno, in cui più evidente era l’intraducibilità) di inserire i tagli e le aggiunte operati da Queneau in un contesto diversificato. Ed è proprio dal rapporto con il mondo di cui fanno parte che gli esercizi dello scrittore francese (solo apparentemente formali, è il caso di ripeterlo) assumono un senso. Come sostiene Eco: “In breve nessun esercizio di questo libro è puramente linguistico, e nessuno è del tutto estraneo a una lingua. In quanto non è solo linguistico, ciascuno è legato all’intertestualità e alla storia. In quanto legato a una lingua è tributario del genio della lingua francese. In entrambi i casi bisogna, più che tradurre, ricreare in un’altra lingua ed in riferimento ad altri testi, a un’altra società, e un altro tempo storico”. Forte è in Eco, formidabile ricreatore del linguaggio di Queneau, la tentazione di andare più in là ed abbattere il mistico muro dei 99 esercizi. Provare e riprovare, parodiando il linguaggio avvocatesco, quello degli architetti, dei creatori di moda o lo stile di Hemingway, Robbe-Grillet o Moravia. Il gioco, in fondo, si presta ad interpretazioni e le possibilità sono infinite.
3) Quel che al mondo ascolta più stupidaggini è forse un quadro da museo.
E and J De Goucart
Questa è una frase di critica artistica, un quadro da museo che vede passare ogni giorno flotte di ignoranti che balbettano frasi senza senso e lui deve stare lì, senza poter dire nulla. Oppure passano menefreghisti, che non sanno apprezzare l'arte di chi quel quadro, l'ha dipinto. Questo si può applicare a tutte le arti, e, perché no? Anche alle scienze, seppur, per quel che mi riguarda, la passione che anima sarà inferiore, come la rabbia di fronte agli ignoranti. A proposito di ignoranti, e rendo questa frase l'ultima perché oggi abbiamo già messo su un sacco di roba, Poe diceva(e vi chiederete perché cito sempre Poe. Be', intanto perché è il mio poeta preferito e secondo scrittore preferito, e poi perché lui era specialista in citazioni e quindi ci ha lasciato un sacco di aforismi nei suoi Marginalia, ovvero le note che scriveva ai margini dei libri che comprava. E andava proprio a cercare i libri con un margine grande. Che maestro. Inoltre era fissato con le citazioni, pensate che quasi tutti i suoi racconti se non tutti iniziano proprio con una citazione.): "L'ignoranza è una benedizione, ma per essere tale essa non deve dubitare neppure di esistere" e insomma, il succo era questo. Vi lascio la possibilità di rifletterci, poi, su questa frase, torneremo domani.
Nell'ultima frase abbiamo parlato di quadri, e ora vi incollo un celeberrimo dialogo tratto da "Il pianista sull'oceano", e per questo vi consiglio anche di leggere Novecento, di Alessandro Baricco.
https://youtu.be/tKL1lnRbBcU

Nessun commento:

Posta un commento

Eddai, commentate.... per favore! ...*guarda in basso*