IL FIUME
CULTURA D'ESTATE 64
Era da un po' di tempo che non vi riportavo un mio racconto, vero?
Oggi invece vi riporto Il fiume. L'ho scritto poco più di una settimana fa. Potrà subire qualche piccola modifica, ma dovrebbe più o meno apparire come oggi ve lo farò apparire.
Buona lettura(E' una prima assoluta)!
IL FIUME
“Questo,
secondo te, cosa può voler dire?” Chiese Roberta per telefono
all'amica Rosanna.
“Sai, non
me ne intendo di interpretazione dei sogni, sinceramente non saprei
proprio dirti” rispose l'interlocutrice.
“Già,
peccato, lo chiedo un po' a tutti, comunque. D'altronde io sono
sempre stata interessata all'interpretazione dei sogni. Ho letto
tutti i libri di Freud e psicanalisti vari, ma anche gli scritti di
altri studiosi. Ma sul sogno di questa notte proprio non saprei che
dire.
Non so
se...”
“Scusa, mi
chiama mio marito, devo proprio scappare. Un saluto!”
tagliò
corto Rosanna interrompendo Roberta, che la salutò prima di posare
il telefono.
E se l'amica
l'avesse solo liquidata perché non le interessava quello di cui
stava parlando? Può anche darsi, ad ogni modo, meglio non
complicarsi ancora la vita.
Roberta lo
sapeva: aveva sempre avuto questa passione per i sogni, che in fondo
vengono proprio da noi stessi, dal nostro subconscio, che crea per
noi immagini di ogni tipo.
Così
coglieva ogni occasione per parlarne ad altri, peccato però che non
molti avessero un interesse così sviluppato. Così, quando lei
iniziava a parlare dei suoi sogni e di quelli altrui molte persone
cercavano di tagliare corto.
Roberta
sapeva che la colpa era sua, e che a molte persone avrebbe potuto
stare ben più simpatica di come è attualmente, tuttavia non
riusciva a trattenersi: era quello il suo argomento principale,
nonché unica passione.
Ma a casa
ora lei non aveva proprio più nulla da fare, così si allontanò di
casa a bordo della sua bici.
Iniziò a
fare un giro per tutta la città. Stava iniziando a fare buio, la
temperatura si faceva più mite rispetto al caldo torrido che aveva
caratterizzato tutta la giornata, quindi Roberta avrebbe potuto
andare più tranquillamente e piacevolmente, senza sudare troppo.
Dopo la sua
lunga passeggiata oramai il sole era quasi del tutto tramontato
quando lei si ritrovò ad attraversa il fiume attraverso il ponte che
conduce verso casa sua.
Mentre
Roberta attraversava il ponte vide al di sotto un uomo. Doveva
provenire dal Bangladesh, o forse dallo Sri Lanka, lei non era
abbastanza esperta per poterlo capire.
Forse era
nuovo da queste parti? Perché sembrava intenzionato a bagnarsi e a
prendere acqua dal fiume. Lo sanno tutti che una cosa del genere
comporterebbe gravi danni in quanto il fiume è radioattivo. Tutte le
scorie della centrale lì vicina vengono buttate dentro alle acque di
questo corso, che si conclude in una grossa discarica di acqua
stagnante alla quale nessuno ha mai osato avvicinarsi.
D'altronde
chi farebbe una cosa simile?
Non abitano
molte persone da queste parti. Chi è nuovo può leggere i numerosi
cartelli che vietano anche solo di avvicinarsi al fiume stesso. Pure
sul ponte è consigliato evitare di sostare.
Roberta,
vedendo l'uomo sempre più convinto a prendere quell'acqua urlò:
“Hei!”
Ma l'uomo
sembrò non sentirla e proseguì fino a mettere le mani dentro le
acque e a portare al viso quella roba radioattiva.
“Non lo
faccia!” Urlò con tutte le forze disperata Roberta, fino a che non
si svegliò.
Anche quello
era stato un sogno, uno strano sogno, come quello che aveva fatto la
notte precedente.
E pure quel
sogno non riuscì ad essere spiegato con i vari libri degli esperti.
Nel pomeriggio Roberta provò addirittura a contattare uno
psicanalista sperando che almeno potesse darle informazioni di
qualcuno che la possa aiutare.
Per lei è
davvero grave non capire che cosa il nostro cervello ci vuole
comunicare. E' una cosa che sappiamo ma che non sappiamo allo stesso
momento.
Scrive Akira
Kurosawa: “I sogni son desideri che l'uomo tiene nascosti anche a
se stesso”.Roberta ha sempre trovato il regista giapponese molto
affascinante e ha sempre apprezzato i suoi film. Il suo preferito era
“Ikiru”, parola che in giapponese significa “vivere”. Ma mai
scordarsi di “Yume”, ovvero “Sogni”, altro gran film.
Ma in questa
citazione lei non si ritrovava con “desideri”. Certo, li teniamo
nascosti a noi stessi, ma perché dovrebbero essere desideri? Gli
incubi sono forse desideri?
Leggendo
Freud si può capire che noi non desideriamo fare incubi ma quel che
vediamo nell'incubo sono effettivamente desideri, anche se inconsci.
Ma Roberta
sembrava convinta più di sempre a non crederci. Pensava” Ad
esempio oggi: perché mai avrei dovuto desiderare che l'uomo si
bagnasse al fiume mortale?”.
Quello a cui
lei non pensava era che sapeva che non l'aveva effettivamente
desiderato di fatti urlava all'uomo per allertarlo. Tuttavia il
desiderio è da cercarsi in un'altra parte del sogno, perché un
desiderio deve esserci per forza, o il sogno non avrebbe motivo di
esistere.
Non si
sembrava comunque essere capaci di risolvere quest'ultimo quesito.
Roberta
prese la bici, come nel sogno, ora che si faceva sera, e si avvicinò
al centro della città.
Questa era
deserta. Non incontrò neppure una persona, lei. Probabilmente erano
ancora tutti in casa per ripararsi dal caldo.
Il sole
stava tramontando ed ecco che lei torna a casa.
Vede il
ponte, vi passa sopra trattenendo il fiato per non respirare le
polveri radioattive, ma quando vede chi vi è sotto il ponte, quasi
ha un malore.
Era lo
stesso uomo del suo sogno. Con lo stesso fare del sogno.
Impietrita
Roberta rimase a guardare, consapevole che nel sogno le sue urla non
erano servite a nulla. Era terrificata. Qualora avesse voluto dire
qualcosa non l'avrebbe comunque potuto fare.
Ma poi,
quando lo straniero avvicinò le mani con l'acqua contaminata al viso
lei non si svegliò, rimase lì. E capì che questa volta non stava
sognando, ma che quella era veramente la sua vita, unica in questa
dimensione, l'unica dimensione che poteva sentire lei.
L'uomo si
girò: di lui ora non si vedeva la faccia, ma un teschio: l'acqua
oramai aveva corroso tutto.
Il cervello,
che si stava sciogliendo, fece uscire del fumo dalle orbite degli
occhi.
L'ormai
cadavere, con il corpo mantenutosi regolarmente e le mani e la testa
senza la pelle che sempre avevano avuto, quando tremando stramazzò a
terra, sembrò gettare un'occhiata per l'ultima volta cosciente, pur
senza occhi, parlando direttamente dal cervello in fumo che
evaporava: “Potevi salvarmi”.
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